disturbi dell'umore

Disturbi dell’umore

Nonostante la depressione sia un disturbo associato a processi di tipo prevalentemente neurologico, il cervello non lavora da solo, ma è costantemente connesso con il sistema fisiologico globale dell’individuo. A supporto dell’esistenza di fattori fisiologici alla base della depressione, basti considerare alcuni dei sintomi più comuni del disturbo, come le difficoltà nel sonno e nella concentrazione, il forte aumento o la perdita di peso, l’agitazione o il rallentamento motorio, l’anedonia (incapacità di provare piacere in attività precedentemente gratificanti) e l’umore depresso.

E’ evidente la presenza di alterazioni sia degli stati del corpo che della mente.

Tra i diversi fattori di tipo fisiologico che possono contribuire ai cambiamenti nelle funzioni cerebrali associati alla depressione vi è ‘l’asse intestino-cervello’ (Alper&Ceylan, 2015). In particolare, la depressione sembrerebbe associata ad alterazioni nella composizione del microbiota intestinale, che costituisce l’insieme dei micro-organismi (prevalentemente batteri) che si trovano nel nostro intestino.

Il microbiota partecipa ad una miriade di funzioni differenti, dal sintetizzare i nutrienti e le vitamine all’aiutare la digestione del cibo che ingeriamo. I batteri “buoni” possono anche favorire l’armonia del corpo attenuando il livello di cortisolo e di adrenalina, i due ormoni associati allo stress, che possono danneggiare il corpo quando continuano ad essere elevati (Brogan, 2016). In caso di depressione, la ricchezza e la varietà del microbiota risultano notevolmente ridotte. Tali alterazioni influiscono sullo stato dell’umore attraverso il sistema immunitario, il sistema neuroendocrino e quello neurale, e soprattutto, in quest’ultimo caso, tramite il nervo vago e la modulazione di neurotrasmettitori come la serotonina, la noradrenalina e la dopamina. Non si tratta, però, di una comunicazione unidirezionale, ma di uno scambio reciproco tra cervello ed intestino: si influenzano a vicenda.

Relazione causale

Uno dei più grandi quesiti, su cui attualmente la ricerca scientifica in questo settore sta indagando, riguarda la relazione causale tra le alterazioni del microbiota dell’intestino e le modificazioni cerebrali: sono i cambiamenti a livello cerebrale ad innescare il processo, o è vero il contrario, ovvero è il microbiota intestinale ad essere la miccia? Winter e colleghi, in un recentissimo articolo pubblicato su Reviews in the Neurosciences (2018), alla luce degli studi finora condotti, si focalizzano su due ipotesi:

  1. IPOTESI A: gli stati depressivi preesistenti inducono modificazioni nella varietà del microbiota e, di conseguenza, peggiorano i sintomi della depressione;
  2. IPOTESI B: riduzioni nella popolazione del microbiota precedono alterazioni nei livelli dei neurotrasmettitori a livello cerebrale, e quindi contribuiscono all’insorgenza della depressione.

Un dato certo è che c’è accordo, tra i ricercatori, sul fatto che un incremento dello stress comporti un cambiamento significativo nel microbiota intestinale, come dimostrato, ad esempio, da studi in cui si è osservato che lo stress indotto in ratti causa una generale riduzione della ricchezza batterica. Tali evidenze empiriche, quindi, sono a supporto della prima ipotesi. Allo stesso tempo, altrettanto autorevoli studi mostrano come il microbiota dell’intestino sia in grado di influenzare la funzionalità cerebrale. Ad esempio, Kelly et al. (2016) e Zheng et al. (2016), in due studi differenti, arrivano a risultati analoghi trapiantando il microbiota fecale da modelli animali depressi a modelli animali sani: in seguito a tale operazione, in entrambi gli studi è stata osservata, negli animali precedentemente sani, la presenza di comportamenti comparabili a quelli tipici della depressione e dell’ansia.

Quindi, nello studio precedentemente citato, Winter e colleghi giungono alla conclusione che, visto l’attuale stato dell’arte della ricerca sull’asse intestino-cervello, entrambe le ipotesi possono essere considerate valide e accettabili, escludendo la possibilità di una terza posizione secondo cui vi sarebbe un’alterazione simultanea del microbiota e dell’umore. E’ possibile, invece, come propongono gli autori, che i processi – A e B – vengano attivati in base a circostanze diverse. Nel caso dell’ipotesi A, alcuni eventi o stressor potrebbero provocare cambiamenti nell’umore e, di conseguenza, modificare il microbiota intestinale; nel caso dell’ipotesi B, alcune infezioni e problemi all’apparato digerente potrebbero provocare cambiamenti nel microbiota, che a loro volta contribuirebbero a far emergere i sintomi della depressione.

Il ruolo dell’alimentazione

E’ stato chiaramente dimostrato che le nostre abitudini alimentari possono avere un effetto considerevole sulla composizione del microbiota intestinale (Maslowski&Mackay, 2010). Positivi cambiamenti nella dieta possono apportare significativi miglioramenti a livello microbico e ridurre l’incidenza di disturbi con base infiammatoria, tra cui anche la depressione (vedi anche: telomeri e depressione).

Kelly Brogan, nel suo libro “A mind of yourown” (2016), individua alcuni cibi potenzialmente dannosi per il nostro microbiota intestinale, tra cui:
Glutine: proteina contenuta nel grano, spesso processata in cibi raffinati, contribuisce alla permeabilizzazione dell’intestino, rendendolo più vulnerabile, e interferisce con la scomposizione e l’assorbimento dei nutrienti;
Prodotti OGM: pesticidi ed erbicidi contenuti nei cibi geneticamente modificati interferiscono con la produzione di aminoacidi essenziali, come il triptofano, che contribuisce alla costituzione delle proteine e alla sintesi della serotonina, e promuovono la produzione del p-Cresolo, un composto organico che interferisce con il metabolismo di sostanze esterne, anche tossiche;
Dolcificanti artificiali: il corpo umano non possiede la capacità di digerire i dolcificanti artificiali, motivo per il quale questi non contengono calorie. Tuttavia, possono attraversare il nostro tratto intestinale e provocare sindromi metaboliche, come l’insulino-resistenza e il diabete;
Antibiotici: i loro effetti possono perdurare per mesi o provocare cambiamenti pervasivi nel microbiota umano, andando ad inficiare alcune funzioni essenziali come l’assunzione di nutrienti, la produzione di vitamine e la protezione da agenti patogeni.

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